A cura del dott. Stefano Perissinotto
Nonostante le misure adottate ed in corso di adozione da parte del Governo, è difficile vedere con serenità il futuro delle nostre società. Il rischio di crisi aziendali e perdite patrimoniali in un prossimo futuro è infatti più che mai concreto.
Il nostro compito, in questo momento storico, è importante: dobbiamo far conoscere gli strumenti giuridici che l’ordinamento mette a disposizione per proteggere il patrimonio dagli eventi negativi della vita.
In tempi recenti, nel nostro Paese, sono stati introdotti degli istituti che possono essere applicati alle esigenze di molti soggetti: dagli imprenditori ai professionisti, fino al privato cittadino che possiede un patrimonio immobiliare o mobiliare.
Oggetto di questo articolo sono due istituti giuridici che in apparenza si assomigliano, ma che in realtà presentano delle differenze significative. Gli istituti in questione sono il vincolo di destinazione ex art.2465 ter del C.C. e l’istituto del trust interno.
In questa sede non mi è possibile descrivere entrambi gli istituti nella loro interezza, ma bensì mi limiterò a sottolineare le differenze tra le fattispecie solo con riguardo alla protezione patrimoniale.
Il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter del C.C.
Questa disposizione legislativa è stata introdotta dalla legge di conversione di un decreto c.d. milleproroghe nel 2006. A quel tempo si sentiva l’esigenza di introdurre anche da noi in Italia un istituto che potesse avere l’effetto di limitare, fatti salvi certi requisiti che vedremo, un principio fondamentale del nostro ordinamento fissato nell’art. 2740 C.C. dal titolo “Responsabilità patrimoniale” in cui è stabilito che “il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i sui beni presenti e futuri”. Tale istituto si aggiungeva ad altre fattispecie di limitazione della responsabilità già esistenti come, ad esempio, il fondo patrimoniale previsto dall’art. 167 e segg. C.C.
Con l’atto di destinazione un soggetto detto conferente sottrae uno o più “beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri” dal suo patrimonio alla garanzia patrimoniale di cui sopra, imprimendo su di essi un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela che riguardino altri soggetti determinati, detti beneficiari, a favore dei quali sia i beni che i loro frutti devono essere impiegati. Il vincolo, una volta trascritto, non consente di aggredire i beni in esso conferiti i quali restano così “isolati” dal resto del patrimonio del debitore. Si tratta di un vincolo di destinazione autodichiarato.
Tra i requisiti richiesti per la validità della sottrazione del patrimonio dalla responsabilità patrimoniale ex art. 2740, vi è quello degli interessi meritevoli di tutela. Nel dispositivo dell’art. 2645 ter, infatti, viene esplicitamente richiamato l’art. 1322 secondo comma, anche se tale richiamo lascia notevoli margini di indeterminatezza sulla concreta definizione di meritevolezza.
La giurisprudenza di merito, fino ad ora, ha adottato un’interpretazione restrittiva degli interessi “meritevoli di tutela”: secondo le sentenze più recenti (in particolare Trib. di Reggio Emilia del 12/05/2014 e del 10/05/2015) quando la costituzione del vincolo non prevede nessun trasferimento di proprietà (o altro diritto reale) esso si configura come un “atto destinatorio puro” e la meritevolezza degli scopi deve “essere valutata in modo stringente” rispetto agli interessi sacrificati dei creditori del conferente che sono estranei al vincolo.
Ai fini della protezione dagli eventuali creditori, questo istituto denota una certa debolezza in quanto la sua costituzione non ha effetti traslativi. Infatti il conferente autodichiara e impone il vincolo, ma non vi è il trasferimento alcuno di diritti a terzi. Il conferente rimane proprietario dei beni e, in caso di contestazioni da parte dei suoi creditori, la tenuta del vincolo sarà sottoposta al vaglio del giudice, il quale dovrà valutare nel concreto e di volta in volta il grado di meritevolezza degli scopi per il quale è stato istituito (per un approfondimento si veda su tutti: G.Oberto – Atti di destinazione ex art. 2645 ter e Trust: analogie e differenze; par. 7)
Il Trust interno
Il trust è un istituto giuridico di origine anglosassone recepito in Italia con la L. 16 ottobre 1989 n.364 (legge di ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985).
In generale con l’istituzione di un trust un soggetto (detto trustee) amministra uno o più beni conferitogli da un altro soggetto (detto disponente o settlor) per uno scopo predeterminato dallo stesso o nell’interesse di terzi (detti beneficiari). Con trust interno si intende un trust, regolato da una legge straniera, istituito da un disponente italiano che conferisce beni situati in Italia e con trustee e beneficiari italiani.
Se escludiamo l’ipotesi di trust autodichiarato, l’istituto in esame prevede un trasferimento (dal disponente al trustee) di beni sui quali il vincolo viene a costituirsi, nonché la previsione di un ulteriore trasferimento, una volta che il programma del trust sia giunto a compimento, ad uno o più soggetti determinati, i beneficiari, che acquistano così la veste di beneficiari finali. La causa concreta di questo atto è caratterizzata dalla volontà del disponente di effettuare una liberalità, destinando nel tempo i redditi e/o i beni vincolati a favore dei beneficiari.
La principale differenza tra i due istituti
Gli atti di destinazione ex art.2645 ter producono soltanto effetti di tipo “vincolativo”. Come già in parte accennato, infatti, i beni oggetto degli atti di destinazione, pur venendo separati rispetto alla restante parte del patrimonio del conferente – al fine di garantire la realizzazione degli interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo – restano comunque nella titolarità giuridica del conferente medesimo (cfr. Busani, I notai ammettono il trust interno, in Il Sole 24-ore del 23 febbraio 2006, per il quale nella nuova norma codicistica «non c’è (…), anche se non la si può escludere a priori, alcuna attività traslativa»).
I concetti di «destinazione per un determinato periodo» e di «vincolo» sono ben distinti da quello di «trasferimento di un diritto». Un bene può essere vincolato ad un scopo senza essere trasferito ad un soggetto diverso dal suo titolare come, invece, avviene normalmente con la costituzione di un Trust interno (cfr. Circ. n. 5/2006 della Direzione dell’Agenzia del Territorio 7/08/2006, la quale prevede, testualmente, che «quanto ai profili di merito, sembra opportuno ribadire preliminarmente la circostanza che detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo vincolativo»).
Quando il patrimonio del disponente è apportato nel trust, in caso di contestazione , il giudice non potrà mai permettersi di vagliare la meritevolezza del motivo per il quale il trust è stato creato (salvo quanto espressamente previsto dall’art.15 della Convenzione dell’Aja). Tutto al contrario, nel caso dell’art. 2645-ter c.c., il controllo di meritevolezza sul motivo per il quale il vincolo è stato creato risulta essenziale per la sua tenuta, ovvero, la sua opponibilità ai terzi.